Guasila un paese in Sardegna

Il mio paese

NOTIZIE STORICHE

di SALVATORE ATZORI


La presenza umana nel territorio di Guasila � documentata gi� nell'et� neolitica, quarto millennio a. C. La fertilit� della terra e la disponibilit� d'acqua incoraggiarono gli insediamenti che si svilupparono attraverso l'attivit� agricola, per consolidarsi ulteriormente in altri settori, come quello della tessitura, di cui sono testimonianza i toponimi di Pranu Linus e Mitza 'e su Linu, e quello estrattivo, documentato in Monti S�bera. A questo periodo risalgono alcune testimonianze archeologiche come le Domus de Janas di Riu sa Mela, Santu Anni, Is Concas, verosimilmente Funtana Bangiu e la probabile esistenza di un piccolo villaggio a Is Brabar�scas, dove � stata rinvenuta una statuetta granitica della Grande Madre Mediterranea, cos� come in prossimit� di Is Concas affiorano i resti megalitici di un edificio.
La presenza dell'uomo risulta molto pi� consistente nel successivo periodo, quello nuragico (1600-535 a.C.), tanto da far presumere un fenomeno di esplosione demografica e di conseguente sfruttamento capillare del territorio. Ben quarantuno sono le localit� che conservano documenti riferibili a questa fase: villaggi, nuraghi e tombe. Basti pensare a Nuraddei, Riu Sipp�u (Sa T�llara), Nuraxi 'e Pau, Bruncu Mannu de S�bara, Grumus, Pranu Pa�du, Genna 'e Soli, Nuraxi 'e Carrogas, Bruncu s'Impiastra. Costruzioni megalitiche risalenti a questo periodo demarcano anche i confini con i Comuni limitrofi: Launessi, Accas, Monti Corona, Barru, Bruncu su Sensu, Sioccu. Al periodo nuragico risalgono anche il tempio a pozzo di G�tturu Caddi e gli edifici sacrali di C�ccuru Figu e Perda de Fogu. Meno numerose sono le testimonianze del successivo periodo fenicio-punico (dalla met� dell'VIII secolo al 238 a. C.), limitate a quattro insediamenti: Funtana 'e Baccus, dove furono rinvenuti alcuni frammenti fittili, Bruncu is Arenas-Riu sa Mela, dove fu trovata una moneta di conio punico e una caratteristica necropoli punica, Pardu Estus, testimoniata da un'altra necropoli, e Sa T�llara, da cui provengono alcuni frammenti di vasellame e due monete puniche.

L'et� romana (238 a. C.-476 d. C.) � documentata da trenta siti: piccoli borghi e semplici ville rustiche, talvolta costruiti sulle rovine di villaggi nuragici; furono allora riutilizzati anche alcuni nuraghi, come quello di Dei. I borghi pi� importanti dovevano essere quelli di Magalli, Nuraghe Dei, Santu Anni, B�ngius e Funtana B�ngiu. Molti di questi insediamenti sorgevano lungo le direttrici campestri che costituivano importanti arterie della rete viaria romana: le odierne Guasila-Serrenti, Guasila-Villamar, Guasila-Samatzai, Segariu-Serrenti e Segariu-Ortacesus. Delle et� romane repubblicana e imperiale sono stati rinvenuti resti di vasellame, ceramiche, monete, laterizi embricati, coppi, una lucerna in ceramica; a B�ngius pezzi di marmo e di intonaci dipinti. Della fase romanica si documentano anche quattordici necropoli.

Superata la rapida fase barbarica, la successiva dominazione bizantina (dal sesto secolo al periodo giudicale), pi� che da testimonianze archeologiche � caratterizzata dall'introduzione di culti di santi del menologio greco, di cui restano i toponimi di Santa Su�a (Santa Sofia) e Santa Nostas�a (Sant'Anastasia), nonch� la tradizione della Madonna Dormiente, la cui statua viene venerata durante i festeggiamenti di S. Maria, il quindici agosto.
Col progressivo affievolirsi della presenza bizantina, in Sardegna si entra, intorno al Mille, in periodo giudicale e successivamente pisano. Con la rinascita economico-sociale del secolo XI si verific� un considerevole incremento demografico anche nel nostro territorio, sul quale sorsero numerosi centri, tra i quali anche uno denominato Goy de Silla. Alcuni di essi avevano una consistenza urbana di un certo rilievo, come S�pare, oggi S�bera, Bagni Arilis, oggi Bangiu, Santa Justa de Lanessi, Schocco, oggi Siocco, Dei, S�nnoru, Carrarza; altri erano dei piccoli nuclei economico-produttivi di poche famiglie legate all' attivit� agricola e pastorale.

Il paese di Guasila (bidda, villa) in periodo medioevale appartenne alla "Curadoria di Trexenta", di cui fu capoluogo dopo Senorb�, nel Regno giudicale di C�lari. Nel 1218 venne promesso dal sovrano Barisone -Torchitorio IV de Lacon-Serra al suo erede Guglielmo II-Salusio V de Lacon-Massa in previsione del matrimonio, mai celebrato, con Adelasia (di Torres?). Terminato il Regno di C�lari, nel 1258 Guasila pass� al regno di Arborea fino a quando Mariano II, nel 1295, lo cedette a Pisa. A questo periodo risalgono le chiese di N.S. d'Itria, Santa Lucia e della Candelora. Nel 1324 Guasila divenne un paese del Regno catalano-aragonese. Dopo un periodo di scambi tra Pisa e gli Aragonesi, nel 1365 il paese pass� di nuovo al Regno di Arborea fino al 1409. In seguito a lunghe e accese dispute, nel 1434, Guasila, con tutta la Trexenta, venne concessa a titolo di donazione a Giacomo de Beson. Inizi� cos� la dominazione aragonese e poi spagnola, l'asfissiante pressione fiscale con pesanti ripercussioni sulla produzione agricola, sulle condizioni di vita materiale e sull'andamento demografico.

In poco tempo, alla met� del Trecento, scomparvero gli insediamenti di Siocco, Dei, S�bera e B�ngiu, mentre poco prima erano gi� state cancellate Santa Justa, Lanessi e Carrarza: guerre, epidemie e pestilenze decimarono soprattutto le popolazioni rurali. Molto virulenta fu la peste nera del 1348 che decim� oltre il 40% della popolazione. Altre calamit� incisero in seguito sullo spopolamento della Sardegna: la peste del 1477, quella del 1528/29, la carestia del 1539/40. Gli Aragonesi poi imposero un sistema tributario onerosissimo, oltre a numerosi servizi, corv�es e prestazioni d'opera di carattere personale, con l'aggiunta di altri diritti di carattere ossequiale per l'omaggio che ogni vassallo doveva annualmente al feudatario. Per questi motivi si innesc� l'abbandono dei piccoli centri rurali verso quelli pi� grandi, determinando un fenomeno di recessione agricola che interess� i tanti piccoli insediamenti, il crollo della cerealicoltura e l'abbandono delle terre che si impaludarono o si imboschirono.

Guasila pass� nel 1591, con i Feudi di Ippis (Gippi) e Trexenta ai marchesi di Villasor, gli Alagon, che la stabilirono, assieme a Senorb�, come capoluogo. Intorno al 1636, sotto Biagio Alagon, si rafforz� nel feudo un intenso movimento antibaronale, gi� in atto in Sardegna dai primi del 1600, che sfoci� nel consolidamento delle autonomie locali attraverso la creazione del Consiglio Comunitativo, autonoma e libera espressione delle istanze popolari, per cui i rapporti economico-fiscali furono sottoposti ad un'ampia revisione. Nel 1651 nei villaggi del Marchesato di Villasor la vertenza approd� a uno sbocco positivo attraverso importanti convenzioni dette "Capitoli di Grazia": il tributo doveva essere versato per quote individuali e non pi� sulla base della rendita dell'intera villa, a"feudo aperto", secondo la capacit� contributiva individuale; furono eliminate le "bannalit�", i diritti baronali sulle macine, sui molini e sui forni. Gli abitanti di Guasila vennero suddivisi in tre classi: "prima road�a" , alla quale appartenevano coloro che coltivavano la terra utilizzando gioghi di propriet�: pagavano un "deghino" (tributo) di 5,5 starelli di laor, lori (grano); "seconda road�a" o "partiargiolas", coloro che lavoravano la terra a compartecipazione e pagavano 3,5 starelli di grano; "scavulus", che costituiva la maggior parte della popolazione, che non seminava e pagava 1,5 starelli di grano; i pastori pagavano il "deghino" in base al numero dei capi, fino a 80 capi di bestiame: Nello stesso documento fu sancito il diritto alla piena propriet� della terra e promossa, per ragioni economiche e politiche, l'immigrazione. Ai guasilesi fu riconosciuto anche il diritto di fare legna sui monti di S. Andrea Frius nei salti di Caboniscus e di Coscinus e successivamente anche in Planu de Pixi e di pascolare nei terreni demaniali del marchesato, cose che furono causa di aspri e frequenti conflitti specialmente con gli abitanti di S. Andrea Frius e di Pimentel; i conflitti esplodevano tra i guasilesi e gli abitanti di S. Andrea con assalti ai carri che trasportavano la legna, che veniva sottratta assieme agli attrezzi di lavoro, mentre gli uomini venivano percossi e talvolta denudati; dagli abitanti di Pimentel il bestiame al pascolo veniva "tenturato", multato, e spesso macellato. Di rilievo fu l'istituzione del Consiglio di Comunit� con reali poteri di controllo politico; esso rappresentava i diversi ceti sociali ed eleggeva annualmente due sindaci in rappresentanza dei diversi ceti. L'istituzione dur� fino al 1771.
 

Nella seconda met� del Seicento la Sardegna, a diverse riprese, fu nuovamente investita da carestie e pestilenze. Tra queste, particolarmente funesta a Guasila fu quella del 1652/56. Dagli atti di morte della Chiesa di S. Maria si apprende che solo negli ultimi sei mesi vi furono 192 morti su meno di 1200 abitanti.

Nel 1720 la Sardegna pass� sotto il dominio sabaudo e Guasila registr� un incremento della popolazione, gi� manifestatosi nei decenni successivi alla peste, giungendo nel 1728 a 1573 abitanti. Ma sempre nel 1720, anno di passaggio della Sardegna dagli Spagnoli ai Piemontesi, dopo la brevissima appartenenza all'Impero Asburgico, una nuova pestilenza e nel 1728/29 una devastante carestia fecero regredire in breve tempo la popolazione a 1424 abitanti, che riprese ad aumentare lentamente nei decenni successivi. Negli anni delle carestie 1760/64, per iniziativa del ceto ecclesiastico, furono riorganizzati i Monti granatici, sorti gi� in periodo spagnolo, iniziativa favorita anche dal ministro piemontese Bogino. A Guasila il montegranatico fu istituito nel 1760 ad iniziativa del rettore Giuseppe Gavino Masala (1757-1801). Nello stesso periodo si concluse anche il processo di privatizzazione delle terre comunali.

Nel 1765 oltre 200 starelli di terra aratoria erano di propriet� feudale e 140, per diventare 400 a met� Ottocento, appartenevano al patrimonio ecclesiastico, concessi in affitto quasi del tutto con il contratto agrario allora pi� diffuso, quello di "mesu a pari". L'agricoltura, tuttavia, segnata ancora da gravami feudali e dalla decima ecclesiastica, risultava una fonte di reddito essenzialmente sussistenziale, finch� nella prima met� dell'Ottocento, dopo alcune altre carestie e pestilenze, con l'introduzione di nuove tecniche e di sementi di qualit� superiore e con l'abolizione del sistema feudale (1820 e 1835) si avvi� un'economia di pi� solide basi con ricadute positive anche nello sviluppo sociale e civile. Ma l'Editto delle Chiudende del 1820 fu ancora scarsamente applicato, mentre ancora gravavano, fino al 1839, tributi, decime e servit� personali di origine feudale. Il "Pardu Siddu", territorio comunale, continu� ad essere destinato agli usi civici; il Consiglio Comunicativo arriv� a respingere nel 1842 gli inviti dell'Intendente Provinciale per la suddivisione delle terre. Con l'elezione annuale dei maggiori delle vigne, dei "vidazzonargi", di numerosi ministri saltuari con compiti di vigilanza e di protezione delle risorse naturali e delle attivit� produttive la comunit� guasilese esercitava un assiduo controllo. Per l'accertamento e la stima dei danni causati da persone o dal bestiame venivano eletti annualmente due Maggiori di Prato, persone qualificate nella professione agricola, che giuravano davanti al giudice mandamentale. Esisteva anche a Guasila una figura rara, il Maggiore delle Acque, in numero di due scelti tra i pastori, per la vigilanza sugli abbeveratoi pubblici, sulle sorgenti e sulle fontane, con controllo sull'efficienza delle gore di deflusso e dei canali. Tutte queste cariche furono progressivamente sostituite nella prima met� dell'Ottocento dalla Compagnia Barracellare, sorta gi� in periodo spagnolo con compiti di polizia rurale e dal 1827 anche di polizia urbana; essa era composta da un capitano, da un tenente e da nove barracelli tutti nominati annualmente dal Consiglio Comunitativo; dal 1847 furono attribuiti alla Compagnia anche funzioni di pubblica sicurezza.
Altri anni di carestie, in particolare nel 1842/43 e 1846/47, indussero gli amministratori di Guasila, centro notoriamente esportatore di cereali, a chiedere soccorso all'autorit� viceregia per soddisfare almeno il fabbisogno per la panificazione.

Il secolo XIX � stato caratterizzato a Guasila da una intensa attivit� di edilizia pubblica che ne caratterizza il centro storico: dal palazzo rettorale, all'edificio delle scuole elementari (oggi sede comunale), al montegranatico, alla chiesa dell'architetto Gaetano Cima, oggi parrocchia e santuario della B.V. Assunta.
Dopo l'unit� d'Italia Guasila registr� un incremento economico e demografico. Nel 1870 il paese contava 2010 abitanti. La distribuzione delle terre ex feudali ai capofamiglia era gi� pienamente compiuto e nel 1868, dopo alcuni anni di sistematiche rilevazioni catastali, fu messo a ruolo il "Libro Censuario". Nel 1878 fu introdotta la trebbiatrice a vapore, che pose il paese tra i primi centri sardi nella sperimentazione del nuovo sistema di pratica agricola. Sull'agricoltura, dunque, questo centro della Trexenta ha da sempre basato il proprio sistema economico, traendone nel passato le ragioni dello sviluppo e delle varie crisi e oggi, se non interverranno novit� sostanziali, quelle del progressivo declino.

GUASILA E LE SUE TRADIZIONI POPOLARI

di ANDREA MELAS

[La Dormitio Virginis] [La caccia alla giovenca] [Le corse dei cavalli]
[Is agullas de Santa Maria] [Is kursas a su stampu]
[Canti e balli tradizionali]

Delle stratificazioni culturali susseguitesi nel corso dei secoli, Guasila conserva diverse e significative testimonianze linguistiche ed espressive, ludico-ricreative e magico-religiose. Aspetti questi osservabili nella parlata locale, negli usi e nei costumi, nei canti e nella stessa tradizione ergonomica. Entro la classificazione sociale di comunit� agropastorale, poi, che la accomuna agli altri paesi della zona, Guasila presenta alcune specificit� di rilievo che meritano una particolare attenzione. Parliamo del rituale della Dormitio Virginis, la Vestizione del Simulacro della Vergine Dormiente del 13 agosto, del rituale de Sa kassa de s'akkizedda, la caccia alla giovenca, che si volge nella giornata della vigilia (14 agosto) della festa patronale, de is kuaddus curridoris, i cavalli da corsa, nel pomeriggio della festa (15 agosto), dell'offerta de is agullas de Santa Maria, gli spilli di Santa Maria, rito che chiude i festeggiamenti patronali. Degne di menzione anche is cursas a su stampu le corse di abilit� per Carnevale, i canti e i balli, come manifestazioni del sentimento popolare.

Nel panorama delle numerosissime usanze, che spaziano dall'alimentazione al lavoro (del contadino e del pastore), dai giochi alle feste e alle ricorrenze varie, che scandiscono i ritmi della vita dei Guasilesi, ma che in ultima analisi sono riferibili anche ai cittadini degli altri paesi, gli aspetti suddetti hanno da sempre caratterizzato le tradizioni e hanno dato a esse l'alone di una certa diversit�.

 

 

 

La Dormitio Virginis.


Il 15 agosto, in pieno centro di quelle Feriae Augustales cristianizzate poi dalla Chiesa Cattolica

con la festivit� dell'Assunzione, ricorre a Guasila la festa patronale, sa festa manna.

Alla Vergine Assunta � dedicata la parrocchiale, che ha come compatrono san Pietro apostolo.

Il simulacro della Vergine Assunta riproduce fedelmente l'antica tradizione della Dormitio Virginis,

ossia della Dormizione della Gran Madre di Dio, secondo il rito ortodosso. Nella parrocchiale guasilese,

 una delle cappelle maggiori � proprio dedicata all'Assunta. In una nicchia, sopra l'altare, il suo simulacro giace

disteso fino al 13 agosto, quando, di mattina presto si d� inizio al rituale detto della Vestizione, a bist� sa Santa.

 Si tratta di una interessantissima sequenza di atti e di preghiere che si protraggono per tutta la mattinata

e che si susseguono con una assodata regia tramandata dalle donne (da notare l'esclusione degli uomini dal rituale)

 e che rimandano all'antichissima usanza bizantina, a cui tale rituale rimanda.

Una volta sistemato il simulacro nel letto, ai piedi dell'altare, il gruppo delle donne procede

a togliere le vesti "comuni", quelle di ogni giorno, che dovranno lasciare posto a quelle sontuose

della Regina santorum omnium. Questo avverr� non prima di aver cosparso di oli e profumi il corpo della Santa.

 L'ultimo atto � quello della posa degli ori e dei gioielli, is prendas, e del completamento del letto dorato,

con angeli di fianco, i veli ricamati sugli archi e la sistemazione de is triunfus (particolare questo non pi� in uso).

La semplicit� degli stessi atti contrasta con la sacralit� con cui il tutto si svolge. Il rituale, infatti,

conserva intatti alcuni aspetti dei rituali funebri di "preparare" il morto: vestizione degli abiti

o delle vesti comuni, lavabo del corpo e vestizione con abiti o vesti "buoni". Quest'ultimo aspetto dell'usanza

funebre si ricollega, insieme ad altri particolari, al viaggio del defunto. Ed � anche in relazione con

l'esclusione degli uomini e al tab� del corpo femminile nudo. Il rito bizantino si basava sulla "koimesis",

secondo la convinzione che la Vergine fosse morta "per non sottrarsi alla legge comune, da cui non si

era sottratto neppure il suo Divin Figlio". A rafforzare l'idea di rituale funebre interviene anche il manoscritto

 "Novena in onori de sa SS. Virgini Assunta", nel quale si legge apertamente: "Tre sacerdoti sopra tre sedie estraggono il Simulacro

e lo collocano colla stessa positura sulla detta bara". Tale convinzione, avvalorata dai

 Concili di Efeso (431) e di Nicea (787), � rimasta invariata nel corso dei tempi fino al 1950,

quando papa Pio XII dava la definizione dogmatica sull'Assunzione di Maria, Munificentissimus Deus.

 L'atto della Chiesa determin� il cambiamento artistico, con il passaggio dei simulacri dalla posizione

 dormiente a quella eretta (cosa non avvenuta a Guasila). La vestizione ha termine nella tarda mattinata,

quando il letto dorato, con la Vergine dormiente, verr� portato al centro della chiesa.

Tutto � pronto per aprire i festeggiamenti. Ma, anche qui, un altro rituale,

forse ancora pi� antico, interviene con tutto il suo fascino e con tutto il suo mistero

 

La caccia alla giovenca.

Il 14 agosto � il giorno della vigilia della festa patronale. Il primo giorno dei festeggiamenti solenni.

 Ma, unico in Europa e forse nel mondo, l'atto d'apertura di tali festeggiamenti � legato a qualcosa

di sacro e profano insieme. Parliamo di un relitto folclorico che ci proviene dai secoli precristiani?

 Parliamo di un rito di passaggio delle societ� agropastorali? La risposta, stando alle cose osservate, � affermativa per l'una e per l'altra domanda.

Sa cassa de s'akkizedda costituisce un momento a s�, una festa nella festa.

 Nel rituale sono presenti tanti di quegli elementi profani, che lo mettono al di fuori della festa religiosa.

 Eppure esso � il primo dei festeggiamenti della festa grande. Ne � addirittura l'apertura.

Una giustificazione di una tale distonia viene vista nella stratificazione operata dalla Chiesa nella sua evangelizzazione.

 Quest'ultima, infatti, non ha mai prodotto contrasti con le credenze dei pagani, con i rituali delle diverse popolazioni.

Ma ha inglobato gli atti di quel mondo magico-religioso antico entro la nuova dimensione di fede, quella cristiana.

 Il risultato � nella realt�. Cassai s'akkizedda, catturare la giovenca, o nella sua variante a kurri s'akkizedda,

 correre la giovenca, acquista, per via di tale operazione, un significato religioso che rimanda all'esorcismo.

 Ci� giustifica anche il fatto di essere il primo atto dei festeggiamenti, senza il quale gli stessi non possono avere inizio.

 Prima che la Vergine passi per le vie del paese, con la solenne processione, si rende necessario cacciare (rimanda allo stesso verbo kurri)

le forze maligne, che nella fantasia popolare ha sempre accompagnato i diversi momenti della giornata.

Al di l� del significato prettamente religioso, il rituale accoglie pienamente anche il significato di rito di passaggio

caratteristico delle societ� agropastorali, dove il passaggio al mondo degli adulti o all'et� adulta, da parte di un giovane,

veniva decretato con prove di abilit�. E catturare una giovenca, in un contesto di allevamento come quello guasilese,

era certamente cosa consona con l'intento e con lo scopo. Il passaggio all'et� adulta consentiva anche di potersi sposare.

 Ebbene, un aspetto del rituale in questione, come recita la tradizione, � proprio quello di vedere sposato

entro l'anno il vincitore della manifestazione.
Che il rituale, poi, riguardi l'intera comunit� � testimoniato sia dalla formula di invito estesa alla popolazione, sia dal pasto

 sociale che seguiva alla cattura e che, nella degradazione della tradizione, � rimasto come "donai sa petza a is poburusu",

dare le carni ai poveri (conclusione del rituale non pi� in uso).

La caccia alla giovenca, nel suo svolgimento, prevede una serie di atti consequenziali:

a) la formula di invito;
b) la gara riservata agli scapoli del paese;
c) la toilette dell'animale;
d) la bardatura a festa del gruppo animale;
e) la processione e la benedizione dell'animale;
f) la macellazione dell'animale.


La manifestazione � aperta dalla cosiddetta formula di invito che gli obrieri pronunciano porta a porta:

Nosu seus benius cumenti si usada e costumada po si invitai a kurri s'akkizedda, primu po fai onori

a sa Santa, sigundu po fai cumpang�a a nosu, krasi a is (viene indicata l'ora) in (viene indicato il luogo)

 [Noi siamo venuti, come uso e costume per invitarvi alla caccia (o a correre) della giovenca, in primo luogo

per onorare la Santa, in secondo luogo per far compagnia a noi, domani (�) in (�)]. L'invito decreta l'aspetto

comunitario della manifestazione. Non � qualcosa che riguarda solo gli organizzatori e i partecipanti alla caccia.

Tutti sono chiamati a farne parte (ecco, quindi, l'invito porta a porta, nessuno escluso).

Una volta indicata l'ora e il luogo dello svolgimento, la popolazione accorre per seguire con la massima attenzione

tutte le fasi della manifestazione. Entrambe le ipotesi, quella del rituale esorcistico e quella del rito di passaggio sono

importanti per la comunit�. Ad avvalorare quest'ultima ipotesi concorre la partecipazione degli ammogliati,

i quali dovranno durante tutta la manifestazione creare ostacoli alla cattura e fare in modo cos�

 che gli scapoli dimostrino destrezza. Essi si frappongono tra l'animale e gli scapoli, incitano alla fuga l'animale,

 vigilano che la cattura dello stesso avvenga secondo le regole stabilite dalla tradizione: prendere al laccio solo le corna,

 a korru' limpius, e non ad esempio anche un orecchio, e liberarla di nuovo qualora la cattura avvenga ad animale fermo.

La mattinata della vigilia � dedicata a questa manifestazione. Alla cattura segue la sfilata con i cavalieri partecipanti che

 attorniano il vincitore, riconoscibile dalla canna fresca e il fazzoletto, su muccadori, a essa legato, simbolo del premio,

che in realt� � dato dal prestigio e dall'ingresso all'et� adulta del giovane cavaliere. La giovenca, adagiata sul carro verde,

 colore classico contro il malocchio, po no di pig�i ogu, e trainato dai buoi, verr� portato alla casa dei priore, capo organizzatore

dei festeggiamenti, dove si far� festa e si proceder� alla toilette dell'animale e alla sua bardatura a festa, con fiori e limoni alle corna.

Giunti, poi, sul sagrato della chiesa, il parroco le impartir� la benedizione, e con essa a tutti i partecipanti. E' questo l'ultimo

 atto della tradizione resa monca dal passare del tempo. La macellazione dell'animale e lo stesso pasto sociale sono

oramai cancellati. Ma, non � cancellato il fascino della manifestazione, che rimane vivido, nonostante il peso di quasi duemila anni

 

Le corse dei cavalli.

E' il giorno solenne dell'Assunta. Dopo il pranzo sontuoso, su prangiu de sa festa, il pomeriggio riserva un appuntamento

d'eccezione, sia per il suo aspetto spettacolare, sia per il posto che occupa nel panorama delle tradizioni isolane.

 Le corse dei cavalli, infatti, conosciute in tutta l'Isola, sono il momento clou di quasi tutti i festeggiamenti

 di un certo livello, delle grandi feste, is festas mannas. Esse hanno appassionato i Sardi da tempi immemorabili

 e ancora oggi suscitano in essi un'attrazione fortissima, se solo per esse si spostano di paese in paese anche

 a lunghe distanze. A Guasila, is kuaddus kurridoris rivestivano una importanza tale da riservare nella toponomastica

 locale una strada di campagna proprio per tale manifestazione. E' nella immediata periferia del paese,

 infatti, sa 'ia de is kuaddus kurridoris, la strada dei cavalli da corsa.

I tempi moderni e i vincoli dettati dalla legislazione attuale non hanno cancellato la manifestazione.

Anzi, negli ultimi decenni, essa ha assunto una spettacolarit� ancora maggiore, grazie all'interessamento

di un'apposita associazione (Associazione Ippica Guasilese), che ne cura i particolari anche nei minimi dettagli,

 e alla costruzione del galoppatoio comunale, che oltre ad accogliere le corse, � una struttura valida per tute

le attivit� legate al cavallo, da quelle sportive a quelle terapiche. Nel 1986 le corse tradizionali venivano incluse

 nel Palio di Santa Maria, voluto dall'associazione menzionata con lo scopo di salvaguardare la tradizione,

da una parte nell'organizzarle con la massima cura, dall'altra per favorire un incremento ippico, che in paese

 e nel circondario, languiva da tempo. Le capacit� organizzative dimostrate dal gruppo e il sostegno

 della popolazione dell'intera zona, sempre numerosa nelle varie edizioni, hanno dato un'iniezione

di ottimismo in tutto il settore. Numerose sono state le scuderie, provenienti dalle quattro province

sarde, che hanno riservato e riservano i loro puledri migliori alla competizione guasilese e grande �

 sempre stato l'aspetto spettacolare. Delle antiche cursas a su pannu, corse per il panno, o palio, rimane

 vivido lo spirito. E a esso si aggiunge oggi il prestigio offerto dal drappo in stoffa pregiata, con ricami

 in oro zecchino, che viene consegnato in luogo del panno, su pannu, (un tempo legato a una canna fresca)

al comune per il quale � iscritta a correre la scuderia vincitrice. Per tutti questi aspetti organizzativi e spettacolari,

 il Palio di Santa Maria occupa nel panorama delle corse in Sardegna un posto di primo piano

Is agullas de Santa Maria.


A conclusione dei festeggiamenti patronali e dopo aver rimesso il Simulacro nella nicchia dell'altare,

 il 23 di agosto, a seguito del rito della vestizione, gli obrieri e le priorisseddas girano per il paese

con su pobinu de is agullas. Sono gli spilli che per tutta la festa sono rimaste sotto il cuscino

 dove poggiava la testa la Vergine. E, per questo fatto stesso, benedetti e portatori di virt� particolari.

 La tradizione attribuisce a questi spilli il potere di far cessare il mal di testa, e non solo a Guasila,

se tale tradizione � conosciuta in tutta l'Isola. Di casa in casa vengono offerte is agullas e chi le riceve

 ringrazia, segnandosi e rivolgendo il pensiero alla Patrona po campai de dannu a tottusu! Per proteggere

 tutti quanti dalle disgrazie. In segno di riconoscimento per tale gesto viene data in offerta agli obrieri

una piccola somma di denaro, i quali utilizzeranno liberamente; in genere per una festicciola a cui verranno

 invitati anche quanti hanno collaborato alla preparazione e allo svolgimento della festa. Con l'offerta

de is agullas la festa patronale si chiude ufficialmente e si rinnovano gli auguri per l'anno prossimo,

 a s' annu chi benidi, quando un nuovo gruppo lavorer� incessantemente per riorganizzare i vari momenti salienti

Is kursas a su stampu.
Una delle feste di calendario, tra le pi� antiche, � quella di Carnevale, che un tempo

non lontano aveva forti accenti religiosi, precedendo essa la Quaresima, tempo

di penitenza! Il Carnevale a Guasila, Sacarapetza, chiamava in chiesa i cittadini,

 dove per l'occasione veniva esposta anche l'ostia consacrata per le SS. Quarantore,

is korant'orasa. Al di l� dei suoi significati arcaici, come l'usanza di mascherarsi,

 i' mascaras, pi� o meno conosciuta in tutto il mondo, la festa ha conservato, seppure

 in modo degradato, aspetti di un certo rilievo, che affondano le radici in un lontano

 passato. Tra questi is kursas a su stampu, lett. le corse al buco. Di retaggio medievale,

ma riteniamo siano ancor pi� antiche, le corse consistevano nella tecnica di far passare

 una pertica, nello stile delle lance dei cavalieri di antica memoria, attraverso un buco

ricavato in un pezzo quadrato di tavola, appeso a una fune che attraversava la strada,

in modo da lasciarlo penzoloni al centro della strada e a una certa altezza dal suolo.

 I cavalieri, in maschera, partivano da una notevole distanza, in modo da dare

 il tempo al cavallo di lanciarsi in una corsa sfrenata, mentre il pubblico costituiva

 due ali lungo la strada (in genere la via principale di Sa Serra, dalla prossimit� di

Su Pardusiddu fino al piazzale davanti la parrocchiale). Oltre al prestigio

personale di chi riusciva a far passare la pertica per un numero superiore

agli altri, un significato della manifestazione � stato colto nei riti propiziatori

 primaverili, stagione in cui si invoca una buona annata. Lo stesso atto dell'infilare

 la pertica nel buco, ricavato nella tavola, rimanda all'atto sessuale e quindi ai culti

di fertilit�; rituali a sfondo sessuale di cui era ricca la societ� sarda precristiana.

Le corse erano la manifestazione clou, che in genere occupava il pomeriggio del Marted� Grasso,

su martis de ag�, e vedeva la partecipazione di numerosi e bravissimi fantini, i quali si

divertivano anche nelle difficilissime quanto spettacolari pariglie, is pariglias: corse

sfrenate con i cavalli appaiati e sui quali due o tre cavalieri davano luogo ad acrobazie varie.

A parte qualche tentativo di ripristino, la manifestazione � assente da tempo in paese,

 come assente � l'altra manifestazione di segai is pingiadas, rompere le pentole.

 La rigida osservanza dell'astinenza e del digiuno, unite al divieto di mangiar carne,

 portava alla necessit� di rompere il vasellame (le pentole erano di terracotta!) e quanto

era stato usata con grassi animali. Di qui l'origine di segai is pingi�das, che avveniva

su domigu y ag�, la domenica dopo il mercoled� delle Ceneri e ultimo giorno di festa,

 con l'incombere del periodo quaresimale dove non si celebravano neppure i matrimoni.

 

Canti e balli tradizionali.

Sia le feste, sia le ricorrenze (con questo termine includiamo tanto le cerimonie a carattere collettivo,

quanto quelle a carattere familiare), erano caratterizzate dall'aspetto ludico e religioso,

come abbiamo avuto modo di osservare, ma, soprattutto dall'aspetto coreutico-musicale,

a tutti gli effetti l'anima stessa di ogni cerimonia a carattere sociale. Soprattutto il canto

 ha accompagnato ogni fase di vita civile e religiosa, con produzioni che hanno arricchito il repertorio poetico guasilese.

Il canto religioso � rimasto a lungo incanalato lungo il solco tracciato dai catalani goigs,

conosciuti come goggius o goccius, laude per la venerazione e l'esaltazione delle virt� eroiche

dei santi. Questo tipo di componimento, conosciuto pressoch� in tutta la Sardegna nella forma musicale,

seppure con lievi variazioni nelle diverse aree regionali, cambiavano invece nel componimento letterario.

Ci� fa supporre che molti di essi abbiano avuto origine negli stessi luoghi di devozione, con autore locale.

Un esempio � dato dai Goggius de Nostra Signora d'Itria, culto presente in tutta l'Isola. Ebbene, nelle

 vicine Guasila e Villamar, dove ricorrono i festeggiamenti omonimi, i testi letterari sono del tutto differenti.

Capita anche di avere dei componimenti letterari e musicali "singolari", intendendo con questo termine

la registrazione tradizionale in un solo paese, rimanendo sconosciuto in altri, anche viciniori.

E' il caso del Deus ti salvit, Rejna, che si canta a Guasila in occasione delle feste mariane

 e sconosciuto nei paesi del circondario,

 ma anche, pare, del resto dell'Isola.
Il canto, di otto brevi quartine, e molto probabilmente di autore colto, si sviluppa su di una melodia

con accento melanconico, ma che si risolve in accordo maggiore, dando un pieno senso di serenit�,

cos� come traspare nello stesso testo. La devozione e la partecipazione sentita al canto da parte

della popolazione � alla base di un effetto sonoro che solo l'ascolto riesce a cogliere.

Altro canto singolare � quello de S'andimironnai, il quale sia nella forma letteraria,

 sia in quella musicale, fa presupporre un'origine antichissima:

Andimironnai
Andira a Nora
Y Andira
Andimironnai


Inutile nascondere l'assoluta assenza di un significato che possa venirci incontro

 in una auspicabile spiegazione. In molti vedono un riferimento alla citt� di Nora

 e a un'altra fantasmagorica Andira, ma nessun esperto ha mai potuto finora trovare

 gli agganci giusti. Molto pi� verosimile credere in un relitto linguistico protosardo

 "andimironnai", giunto fino a noi chiss� come. Ma, � nella forma musicale

che il canto guasilese di questo tipo rimane singolare. Infatti, contrariamente

 a quello conosciuto nel resto dell'Isola, S'andimironnai guasilese ha una linea melodica completamente differente.

 Al punto che lo stesso musicologo Giulio Fara, nella sua raccolta Canti di Sardegna, lo ha indicato come

"Canto di Guasila" (riportato come "Muttettu de tristura" e come testo poetico: Tristu passirillanti). (G. Fara, 1923)

In tutta la rimanente produzione, il canto pi� usato in assoluto � su muttettu, sia nella versione

a su laralall�i, sia in quella a sa trallallera. In questo, per�, non differendo dagli altri paesi.

 Il mottetto guasilese a su laralall�i, presenta ora su sterrimentu a dus peis (A-B), ora a tres peis

 (A-B-C), con conseguente coberimentu a tresi

(A-B-A) o a quatturu rimasa (A-B-C-A).
Il mottetto a sa trallallera, invece, � composto a quartina (A-B-A-B oppure A-B-B-A)) ,

anche se non manca il mottetto come sopra descritto, accompagnato con il trallallera.

L'uso generalizzato di queste forme trova la sua giustificazione nella semplicit� di composizione.

 Il discorso cambia davanti a componimenti pi� complessi, come sa repentina,

sa canzoni a cruba,che pure erano ampiamente conosciuti e apprezzati. Soprattutto

 quest'ultima costituiva il canto di un certo livello, sulla scia delle ottave tassiane

e ariostane, con cui si sviluppavano temi amorosi o politici o religiosi, e comunque

 di interesse collettivo. Numerose sono le Canzonis del repertorio guasilese.

 Dell'ultimo secolo, sono ricordate quelle di Battista Casti, di Enrichetto Pinna e

di Pietrino Melas. Di quest'ultimo si conservano anche repentinas e altri componimenti,

 che, a causa della loro complessit� di composizione, sono stati trascurati gi� da tempo.


Non meno interessante l'aspetto legato alle danze locali. Pur nella continuit� dei significati

 attribuiti al ballo e conosciuti a livello mondiale, non possiamo esimerci dal dire due parole

su quel ballu tundu, da cui originano le danze di Sardegna, pi� comunemente ballu sardu

(in contrapposizione ai ballus civilis, degli ultimi tempi). A Guasila il ballo sardo si sviluppava su

 di una linea coreutica alquanto semplice, con i due ballerini, uno fianco all'altro, mano nella mano,

 in un atteggiamento serio e composto, quasi in contrasto con la stessa baldanzosa picchi�da

 che il suonatore eseguiva, sia con le launeddas o su suittu, strumenti di canna entrambi,

sia con la fisarmonica o l'organetto bitonale. L'attesa per il ballo era giustificata dal fatto

 che esso e soltanto esso consentiva un breve e innocente contatto con la persona amata.

 Ed era attraverso il ballo che i due amanti in pectore perfezionavano l'intesa, con colpi

d'occhio e sorrisi, o pi� semplicemente rimanendo insieme ed evitando di ballare con altri.

 Questo era lo scopo del cosiddetto ball'y og�i, il ballo con cui ogni ragazzo invitava al suo

 braccio le ragazze presenti e, in particolare, quella amata, spesso di nascosto.

 Il rifiuto della ragazza suonava come risposta inequivocabile di rinuncia,

spesso messa in relazione al fidanzamento, a su fastiggiu, ed evidentemente al matrimonio.

Il ballo, inoltre, offriva anche la possibilit� di far valere le proprie doti. Doti che in certi casi

 erano evidenti, come nella sciampitta, il salto, che il ballerino eseguiva facendosi tenere da

due compagni. Era, sa sciampitta la forma pi� acrobatica del ballerino. Agilit� e fantasia

 si univano in un crescendo, tipico della musica sarda (ma anche orientale), assecondate

dal rincorrersi frenetico delle note degli strumenti. Pi� cadenzato era invece su ballu cabillu,

 il ballo saltellato, basato su di una melodia pi� semplice, dai toni comunque allegri e vivaci.

 Sia i balli, sia i canti di Guasila sono stati recuperati e riproposti al pubblico

grazie al paziente lavoro dell'A.T. Pro loco, che opera da oltre trent'anni e che

ha costituito il Gruppo folcloristico, con cui ha avuto modo di farli conoscere

nelle altre aree sarde e nelle regioni d'Europa. Alla stessa Associazione si deve

il recupero di altre forme tradizionali paesane. Tra l'altro, di particolare successo

 il lavoro di recupero degli attrezzi e degli strumenti delle attivit�, sia casalinghe,

sia di campagna, del contadino e del pastore, figure standard di una comunit� agropastorale come quella guasilese

 

 

 

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